Marocco: viaggio nell’Alto Atlante
Gianluca Ricci
Ci sono luoghi, nel mondo, che danno la sensazione anche a chi non li ha mai visitati di essere inspiegabilmente familiari.
Stereotipi, di sicuro, legati alla diffusione di immagini e di narrazioni quasi sempre a senso unico, che inchiodano quei luoghi alla fissità del loro racconto. Una fissità che però svanisce nel preciso momento in cui uno mette piede su quei nuovi suoli e si rende conto che tutto ciò che aveva letto o visto è limitato ad un ambito davvero ristretto.
È il caso del Marocco, per esempio, che nell’immaginario collettivo rimane un Paese fortemente legato alla presenza delle dune del Sahara o ai colori rutilanti dei mercati delle sue grandi città.
Certo, viaggiando per il Marocco prima o poi ci si imbatte nella possibilità di vagare qualche quarto d’ora per il deserto in groppa ad un dromedario o di camminare in mezzo alle bancarelle variopinte di qualche centro abitato messe in piedi ad uso e consumo dei turisti di passaggio.
Ma c’è anche altro e spesso questo altro risulta altrettanto affascinante, anche se fatica a rispondere ai pregiudizi con cui si era fatto ingresso in un mondo di cui si pensava di conoscere già tutto.
Azilal, tanto per fare un nome, a 240 chilometri da Marrakech e a oltre 1300 metri di altitudine, sull’Alto Atlante: si tratta di una località poco battuta dagli itinerari turistici consueti nonostante presenti attrattive, soprattutto di carattere naturalistico, davvero singolari.
E, soprattutto, assolutamente poco canoniche rispetto alla narrazione tradizionale delle specificità del Paese. Innanzitutto perché il top dell’offerta è rappresentato da una incredibile cascata, là dove invece l’immaginazione accumula cammelli a dromedari, palme da datteri e dune di sabbia: si tratta delle cascate di Ouzoud, tre spettacolari salti d’acqua alti in totale 110 metri, diventati la più importante risorsa dell’economia locale, visto che in pochissimi anni sono spuntati alberghi, campeggi e negozi di ogni tipo.
A riportare al Marocco immaginato ci sono branchi di dispettosissimi macachi, che saltellano da un ramo all’altro dei numerosi alberi che la presenza del fiume ha fatto proliferare in gran quantità. Nei dintorni poi si trovano pure un bellissimo arco di roccia, ovvero il ponte naturale di Imini n Ifri vicino alla città di Demnate, e – strano ma vero – il lago, seppure artificiale, di Bin El Widane, oltre 30 chilometri quadrati d’acqua pura e cristallina diventata un paradiso naturale per carpe, lucci, tinche e persici.
A breve distanza si stende poi la valle dell’Ait Bouguemez, chiamata dalla gente del posto in lingua berbera “valle della gente felice”: difficile dare torto a questa interpretazione, visto che un imponente sistema di canali permette alla terra di essere irrigata e di produrre ogni ben di dio, un luogo ideale per entrare in contatto con la cultura berbera tradizionale e scoprire la particolarità di usi e costumi di quella gente.
Da lì è possibile tra l’altro partire alla conquista della terza vetta del Marocco, il Jebel M’Goun, da cui si può ammirare un maestoso paesaggio. Che prima di partire si sarebbe detto poco marocchino, ma che dopo la visita stupisce solo ed esclusivamente per la sua bellezza.