Perú: Juanita, la Mummia venuta dai ghiacci
Di Gianluca Ricci
Che lo sviluppo delle civiltà, ma anche delle singole comunità al loro interno, dipenda dalla conformazione fisica dei territori che le ospitano è un dato di fatto.
Fiumi, montagne, laghi e mari non possono non influire sull’evoluzione delle società che si agglomerano intorno ad essi, anche perché nella maggior parte dei casi si tratta di ostacoli che contengono o che separano. E se lo sviluppo della tecnologia ha consentito di superare nei secoli questa limitazione, permettendo il superamento dei limiti che la natura aveva imposto, in origine gli uomini hanno dovuto ottemperare a necessità fisiche inderogabili.
Le abilità individuali e le capacità di adattamento collettive si sono manifestate proprio nella cura con cui questi limiti sono stati superati o, più di frequente nei tempi antichi, aggirati, facendo in modo che elementi apparentemente negativi si trasformassero in positivi.
Un caso classico è quello delle comunità che hanno costruito il baricentro della loro esistenza nei pressi dei vulcani: ce ne sono in tutte le parti del mondo, proprio perché se da un lato le eruzioni, quando si sono manifestate, hanno portato morte e devastazione, dall’altro però, quando non hanno fatto sentire la loro lavica invadenza, si sono trasformate in veicolo di vita, offrendo terreni più fertili da coltivare e materiali da costruzione assai più agevoli da recuperare e utilizzare.
Esempio da manuale è quello offerto da Arequipa, la seconda città più popolosa del Perù, edificata alle sue origini sulle rive del fiume Chili ai piedi del vulcano El Misti, che si innalza fino alla quota considerevole di 5800 metri.
È conosciuta col soprannome di “ciudad blanca” a causa del colore della pietra, ovviamente vulcanica, con cui sono stati costruiti tutti gli edifici, compresi quelli del centro storico che l’Unesco ha inserito per la sua particolare bellezza nella lista del Patrimonio dell’Umanità.
Al di là della Cattedrale e del Monastero di Santa Catalina, attrazioni turistiche fra le più conosciute e apprezzate dell’intero Paese, e delle numerosissime possibilità di trekking offerte dalle alte montagne dei dintorni, ad Arequipa si arriva anche per ammirare un unicum davvero sbalorditivo, ovvero il Museo Santuarios Andino.
Esso è stato dedicato totalmente al ritrovamento, avvenuto casualmente nel 1995, della cosiddetta “fanciulla dei ghiacci” o Juanita, una mummia di più di 500 anni fa venuta alla luce al termine dell’eruzione del vulcano Sabancaya, che aveva fatto sbalzare dalla sua tomba di ghiaccio, all’interno del vulcano Ampato, i resti della ragazza. Gli studi condotti sul suo corpo conservato dal freddo hanno rivelato che si trattava di una ragazzina di dodici anni, molto probabilmente sacrificata al vulcano dalla sua comunità per placarne le ire.
Gli Inca consideravano le montagne delle vere e proprie divinità e sacrificavano spesso in loro nome animali o bambini: le famiglie delle vittime prescelte lo consideravano un onore e per questo festeggiavano l’evento per giorni, incuranti delle preoccupazioni dei piccoli che stavano per essere gettati nelle fauci del vulcano. Una volta giunto il giorno fatidico, le vittime venivano condotte sull’orlo del cratere e, una volta stordite con una bevanda anestetizzante, venivano gettate giù.
Il ritrovamento di Juanita ha permesso di ricostruire fedelmente quel rituale che a noi oggi sembra assolutamente raccapricciante, ma che allora costituiva un semplice tentativo di attenuare le preclusioni imposte da una natura davvero matrigna.