Thorikos, fondamentale, ma ignorata
Di Gianluca Ricci
In pochi lo sanno, ma uno dei luoghi più affascinanti di tutta la Grecia, non tanto per le evidenze archeologiche oggi rimaste o per le meraviglie naturali di cui è dotato, quanto per la particolarità di ciò che è rimasto a testimoniare la sua antica grandezza, è Thorikos, località situata nella parte sudorientale dell’Attica a nord dell’area mineraria del Laurion.
Il nome dice ben poco anche alla maggior parte di coloro che hanno girato la penisola ellenica in lungo e in largo e già si sono abbeverati alle celebrate bellezze del suo territorio.
Eppure si trovano lì alcuni dei reperti più sbalorditivi che ci raccontano come prima degli altri gli uomini della tribù Acamantide avessero gettato le basi per lo sviluppo della straordinaria civiltà che sarebbe diventata quella greca.
Il teatro innanzitutto: nulla a che vedere con le meraviglie architettoniche che si possono ammirare a Epidauro o a Filippi o a Delfi, monumenti di straordinaria fattura declamati da storici dell’arte e apprezzati da semplici appassionati.
Il teatro di Thorikos è oggi appena appena visibile, con una parte delle gradinate recuperata e restituita alla sua leggibilità, mentre tutto il resto, a partire dalla scena (come peraltro in quasi tutti i teatri greci e romani), deve essere immaginato.
A colpire tuttavia è la sua forma, ellittica e non semicircolare come invece è quella di tutte le altre strutture simili successive.
E tutte, in Grecia, sono state successive, perché il teatro di Thorikos è il più antico non solo della Grecia, ma del mondo.
Realizzato alla fine del 500 a.C. senza alcun tipo di esempio preesistente, si eternò nelle forme che gli architetti vollero dargli, a partire dalla collocazione, scavato com’è sui fianchi di una collina prospicente il mare.
Del disegno ellittico già si è detto: a tale anomalia va aggiunta anche la forma dell’orchestra, rettangolare anziché circolare.
Una sorta di prova generale, per vedere un po’ l’effetto che poteva fare: e non fu malaccio, se si considera che le file di gradini raggiunsero il numero di ventuno e i posti a sedere risultarono alla fine più di quattromila, non male per una località piuttosto periferica, sottoposta al controllo della più sviluppata Atene, a poco più di quaranta chilometri di distanza, più o meno come Maratona.
E poi ci sono le gallerie scavate nei secoli sotto l’acropoli, ben cinque chilometri, una lunghezza che all’epoca doveva costituire una vera e propria meraviglia, se si pensa agli strumenti di cui gli abitanti potevano disporre.
Oggi costituiscono la più grande rete sotterranea del Paese. Da lì si estraeva argento, metallo che contribuì alla grandezza della vicina Atene, che in zona poteva contare pure sui proventi delle miniere d’oro del Laurion.
Si tratta di miniere, sostengono gli archeologi, sfruttate fin dal 3200 a.C.: inumane le condizioni dei poveri schiavi che erano costretti a lavorarci dentro, visto che la tecnica costruttiva non prevedeva la salvaguardia degli operai e che molti ci lasciavano la pelle semplicemente per asfissia, visto che nelle gallerie mancava qualsiasi tipo di ricambio d’aria.
Sulle pareti sono ancora oggi ben visibili i segni lasciati dai rudimentali strumenti dell’epoca, anche se oggi non è possibile avventurarsi al loro interno, visto che canali alti appena trenta centimetri possono essere esplorati a malapena da speleologi esperti. Ma vale comunque la pena darci un’occhiata.