Mongolia- Deserto dei Gobi, il vero Jurassic Park
Gianluca Ricci
«Non ho raccontato la metà delle cose che ho visto, perché altrimenti nessuno mi avrebbe creduto»: così ammise a suo tempo l’intrepido esploratore italiano Marco Polo qualche tempo dopo il suo rientro in patria al termine del lungo viaggio che lo aveva portato in Cina e Mongolia, all’epoca uniti in un unico, enorme impero.
Troppo strane, troppo esotiche per poter essere credute da un mondo che basava le sue solide verità su ben altri pilastri filosofici e ambientali. Eppure le parole dell’esploratore veneziano potrebbero essere tranquillamente ritenute valide ancora oggi, visto che gran parte delle meraviglie della Mongolia risultano ai più sostanzialmente sconosciute, e dunque, se svelate, sorprendenti.
Il deserto del Gobi, per esempio. È uno dei luoghi più misteriosi e desolati del pianeta, ma non per questo tra i meno affascinanti, anzi.
La sua estensione, per noi abituati a dimensioni piuttosto ridotte, sembra inverosimile: un milione 300mila chilometri quadrati (come Spagna, Francia e Germania messe insieme) di nulla o quasi, distribuito lungo 1300 chilometri di lunghezza e 700 di larghezza. Dimensioni incredibili, per un territorio che al suo interno non ospita che pochi agglomerati urbani, a causa soprattutto delle condizioni ambientali particolarmente estreme, visto che l’escursione termica nel corso dell’anno riesce ad essere pari a quasi 100 gradi, fra i più 50 delle estati più torride e i meno 50 degli inverni più rigidi.
Non si tratta, come molti pensano facendo un’associazione mentale naturale con i deserti più noti, di un’immensa distesa di sabbia, ma di rocce, dove abitano perlopiù tribù di pastori nomadi che vivono in tende oggi per loro fortuna ben strutturate, ma che continuano a fare affidamento su animali di comprovata esperienza come i cammelli.
Eppure, nonostante la desolazione di un paesaggio che già solo per questo meriterebbe di essere ammirato almeno una volta nella vita, il deserto del Gobi nasconde tesori di inestimabile valore, uno su tutti il vero Jurassic Park: non tutti forse sanno che l’idea per girare un film sull’ipotetica clonazione di un dinosauro venne a Spielberg dopo aver saputo che nel Gobi erano state rinvenute uova di velociraptor complete di embrione e che lo spunto per la creazione del personaggio di Indiana Jones la offrì il ricercatore Roy Chapman Andrews, autore di sensazionali scoperte fossili proprio fra le rocce del deserto mongolo.
Proviene dal deserto del Gobi, d’altronde, il reperto forse più celebre al mondo, quello degli scheletri di due animali, un velociraptor e un protoceratopo, eternati per sempre nel loro duello mortale da una frana improvvisa che li ha ricoperti e li ha conservati fino ai giorni nostri.
Migliaia sono le tracce della vita sul nostro pianeta milioni e milioni di anni fa che l’ideale atmosfera del Gobi ha permesso di mantenere leggibili ancora oggi e migliaia sono gli scheletri provenienti dal Gobi che riempiono le teche dei musei di mezzo mondo.
Inutile cercarli a Ulaanbaatar, dove è rimasta solo qualche briciola di questo immenso patrimonio paelontologico, anche se considerare briciola lo scheletro integrale di un tarbosauro alto dodici metri non è del tutto corretto.
Meglio comunque scarpinare nel deserto, magari appoggiandosi a qualche organizzazione, per vivere in presa diretta l’emozione da macchina del tempo che solo quella terra sa sprigionare.