Atacama, un calendario di pietra nel deserto
Quando mancano gli appigli della razionalità e la logica non riesce a penetrare i veli dell’incomprensibilità apparente, si fa subito strada la soluzione paranormale, quella che non necessita di giustificazioni né di controprove.
Basta buttarla lì e il gioco è fatto, fintanto che qualcuno, indispettito da tanta superficialità, non inizia a volerci vedere più chiaro. È ciò che è accaduto nell’annosa vicenda delle cosiddette saywas cilene, ovvero misteriosi cumuli di sassi disposti ad intervalli regolari nel deserto d’Atacama senza un’apparente senso.
Che si trattasse di manufatti umani non c’è mai stato alcun dubbio, così come alcun dubbio c’è mai stato sul fatto che a realizzarli siano stati individui vissuti parecchi secoli fa. Sul motivo per cui invece quelle pietre sono state accumulate si è sempre brancolati nel buio della ragione. Al solito i più sempliciotti hanno provato a giustificare quei mucchietti con l’immancabile teoria extraterrestre: in mancanza di prove certe, c’è stato chi si è spinto a sostenere che si poteva trattare di segnali espliciti a misteriosi esseri per l’atterraggio delle loro navicelle spaziali, una sorta di pista rudimentale da utilizzare in arrivo e in partenza.
È bastato tirare in ballo qualche vecchia leggenda dai contorni poco chiari e il gioco è stato fatto. Quegli allineamenti di pietre accuratamente impilate presenti nel deserto da almeno cinquecento anni non aveva trovato nessun altro tipo di giustificazione e allora avanti con la teoria aliena. In tutto il resto del mondo le saywas, o cairns o montjoie o quechua, servivano a delimitare territori o a indicare la presenza di luoghi sacri.
Finalmente qualcuno ha iniziato a indagare, scoprendo che per le saywas del deserto d’Atacama non si potevano tirare in ballo esperienze di questo tipo: troppo precisamente allineate per poter svolgere quella funzione; e nemmeno l’ipotesi pietre miliari convinceva granché. Doveva esserci dell’altro: e così la direttrice del Museo d’Arte precolombiana del Cile ha provato strade alternative, facendosi aiutare nella sua ricerca da alcuni antichi documenti in cui erano citati quei misteriosi mucchietti di pietre, ma soprattutto dagli astronomi dell’Atacama Large Millimeter Array, una gigantesca rete di antenne piazzate nel deserto che formano uno dei telescopi più potenti al mondo.
È stata la scienza, dunque, a dare il suo decisivo contributo per svelare il mistero: si è scoperto infatti che in alcune date precise il sole al suo sorgere si allineava perfettamente con le saywas, ipotesi confermata da sopralluoghi sul terreno. Storici e astronomi si sono dati appuntamento il giorno dell’equinozio di autunno del 2017 (era il 22 settembre) a Vaquillas e hanno potuto constatare che al sorgere del sole i suoi raggi tracciavano una linea che intercettava al millimetro tutti i cumuli di sassi. Lo stesso è accaduto durante il solstizio d’inverno in un’area poco distante. Si trattava di un calendario solare, insomma, con il quale le civiltà precolombiane riuscivano a gestire il trascorrere del tempo.
Un’interpretazione che ha trovato conferma definitiva quando un’antropologa è riuscita a giustificare la presenza di una terza fila di saywas che apparentemente non indicava nessuna data particolare del nostro calendario. E invece la indicava: era il primo agosto, giorno dedicato alla divinità Pachamama.
In effetti un briciolo di irrazionalità serviva per non rendere eccessivamente sterile una storia così affascinante…