Zimbabwe, cascate Vittoria: un tuffo nella storia
di Gianluca Ricci
Fu David Livingstone, nel novembre di 164 anni fa, il primo europeo a visitare “il fumo che tuona”: la cascata più spettacolare che avesse mai visto in vita sua e che, secondo il diritto dell’epoca, potè battezzare “Victoria falls” in onore della regina d’Inghilterra di allora.
Ma quelle cascate, larghe nella parte più ampia del loro fronte 128 metri e alte nel punto più alto 128, erano ovviamente già note alle popolazioni locali, che le avevano chiamate Mosi-oa-Tunya, “fumo che tuona” appunto.
Livingstone arrivò da quelle parti per aprire nuove rotte commerciali e risalendo il corso del fiume Zambesi si imbattè in quella enorme massa d’acqua che precipitava a valle, rimanendone folgorato. Non si tratta delle cascate più alte del mondo e nemmeno delle più larghe, tuttavia sono state inserite nella lista Unesco del patrimonio dell’umanità per la loro spettacolare bellezza e poco conta che non siano in grado di battere alcun record.
Al netto delle difficoltà degli ultimi mesi, durante i quali una prolungata siccità ha più che dimezzato il corso dello Zambesi limitando la portata d’acqua e, di conseguenza, la potenza del salto, le cascate Vittoria riescono ad impressionare proprio per l’enorme massa liquida che piomba a valle con un impressionante sottofondo sonoro, lo stesso che migliaia di anni fa fece pensare agli indigeni alla definizione di “fumo che tuona”.
Il tuono è quello dell’acqua che si schianta sulle rocce sottostanti, mentre il fumo null’altro è se non il vapore acqueo che si solleva nel movimento di tutta la massa, ricadendo sul territorio circostante per centinaia di metri e rendendolo proprio per questo un luogo assolutamente unico al mondo, dotato di un ecosistema assolutamente originale e per questo degno dell’attenzione degli studiosi.
La visita alle cascate Vittoria, che separano lo Zimbabwe dallo Zambia, è una di quelle esperienze che si ricordano per tutta la vita, sia per la bellezza del luogo sia per le modalità con cui ci si deve avvicinare al grande salto: una volta pagato il biglietto di ingresso, infatti, si deve seguire a piedi un lungo sentiero all’interno di una vera e propria foresta equatoriale perennemente inumidita dal vapore della cascata; un cammino che inizia a far presagire come andrà a finire una volta che ci si potrà appoggiare alla balaustra che permette di guardare direttamente di fronte lo straordinario salto dello Zambesi.
Man mano che ci si avvicina il vapore inizia a intensificarsi e a trasformarsi in quelle che si potrebbero scambiare per gocce di pioggia, dapprima rade e inoffensive, ma poi sempre più grosse e intense. Nel giro di pochi minuti ci si inzuppa d’acqua dalla testa ai piedi, ma a causa delle temperature elevate in ogni momento della giornata si tratta di un sollievo più che di un fastidio: il top lo si raggiunge davanti alla cascata, che si intravvede fra il vapore e la “pioggia” provocata dal salto, una sorta di apparizione per la quale i primi abitanti del luogo finirono ovviamente per scomodare le loro divinità.
Una doccia in piena regola, dunque, pegno inevitabile per poter godere di uno squarcio davvero mistico e divino.