Un bar felino ad Amsterdam
Gianluca Ricci
Molte sono le strategie utilizzate dagli esercenti per attirare clienti all’interno dei loro locali.
Dalla classicissima azione di placcaggio all’esterno all’accurata scelta delle birre, dalla creazione di piccoli spazi interni dedicati al gioco o alla lettura alla proposta di stuzzichini nuovi e originali.
C’è chi poi si spinge un po’ più in là, sperando di avvicinare con proposte quanto meno eccentriche chi magari difficilmente si fermerebbe a consumare qualcosa: è il caso dei gestori del Cat Café di Amsterdam, locale decisamente insolito e, come ben fa intuire la definizione, destinato ad una clientela amante dei gatti.
Il bar si chiama in realtà Kopjes, il cui significato può essere inteso in due modi distinti: tazza, ma anche strofinio di teste, un’azione tipica del gatto quando vuole marcare il territorio o mostrare apprezzamento per le circostanze in cui si trova.
Un nome più che adatto per invogliare i tanti gattari e le tante gattare a spasso per la capitale olandese a varcare la soglia per bersi un tè e gustare una fetta di torta in compagnia di una foltissima rappresentanza del mondo felino.
Non si tratta di un’idea originale, visto che i primi a tentare una simile proposta lo hanno fatto per le strade di New York: tuttavia, a giudicare dallo stato di salute sia dei mici che del locale, gli affari pare vadano bene.
Ciò che bisogna a tutti i costi ricordare prima di entrare al Kopjes e ordinare qualcosa è che l’operazione va programmata per bene: l’ingresso è ammesso solo previa prenotazione, il che garantisce la possibilità di fermarsi all’interno per due ore senza avvertire l’urgenza degli altri avventori in attesa di un tavolo; inoltre bisogna tener presente che il locale non è stato aperto per il benessere degli avventori, ma per quello degli otto gatti che ci vivono serviti e riveriti.
I proprietari avvisano chiunque si sieda che è tassativamente vietato dare da mangiare ai quadrupedi che si muovono per il locale in assoluta libertà e allo stesso modo è vietato prenderli in braccio o disturbarli – accarezzarli è un’azione che rientra in questa categoria – mentre sonnecchiano mollemente accovacciati su tutto ciò su cui si possono accovacciare, giacche dei clienti comprese.
Lo spazio è a loro completa disposizione e chi entra a bere o mangiare qualcosa può solo limitarsi ad osservare la pacata placidità con cui i felini padroni del locale osservano gli sconosciuti che si avvicendano ai tavoli, pensando chissà che cosa.
Per entrare è necessario pagare un biglietto di ingresso di tre euro, obolo necessario al sostentamento della colonia felina che costituisce la principale attrazione del posto: d’altronde i proprietari la loro azione meritoria l’hanno già fatta, andando a prendere quegli animali da un gattile cittadino e restituendo loro la libertà.
Per il resto si può consumare tranquillamente, facendo quattro chiacchiere e rimanendo incantati ad osservare quel micio nero che si fa le unghie sulle gambe di una sedia o quell’altro grigio che mentre dorme sogna chissà cosa e inizia a muoversi convulsamente, finché un suo compare, infastidito da tanto caos, non gli assesta una zampata come si deve.
Se poi quando ci si alza si scopre che gonne e pantaloni si sono improvvisamente riempiti di peli di ogni colore, beh, forse ce lo si poteva davvero aspettare.
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